
Abbiamo parlato nei mesi scorsi dei consigli di Ilya Pozin per diventare un buon leader. I suoi consigli sono sempre orientati al rapporto con i dipendenti e i colleghi.
Recentemente abbiamo anche letto su articolo su Centodieci (il magazine di Mediolanum) con i 5 consigli per diventare leader, agendo su se stessi.
L’idea di fondo è indirizzare i capi ma, in generale, le persone, ad essere centrate. Ovvero avere un proprio equilibrio, fondato su punti di riferimento stabili e costanti.
Per esempio, si sottolinea l’importanza della comunicazione e di una corrispondenza tra il proprio pensiero e l’idea espressa. In sintesi: non dire ciò che non si pensa. Può essere banale, ma quante volte ci è capitato di essere intrappolati in situazioni derivate dal non esprimere la nostra posizione, magari per evitare problemi, o frizioni, confronti, o addirittura per urtare la sensibilità altrui?
Ecco, per evitare di essere intrappolati in situazioni che non restituiscono l’immagine di leader, è decisamente meglio essere coerenti con il proprio pensiero.
Un altro punto interessante su cui riflettere, nell’articolo di Centodieci, è assumere una condotta di comportamento responsabile: il che vuol dire sia prendere decisioni che assumersi le responsabilità delle stesse. Non si deve credere al fatto che essere leader significhi guidare istintivamente e naturalmente dei team. Dietro la facciata dell’essere un capo carismatico, c’è un substrato fatto di approfondimento, lavoro, strategia e analisi. Ma anche un percorso di fallimenti e vittorie, che ha costruito un sistema decisionale e di assunzione di responsabilità, sia che le conseguenze siano positive o negative.
Proprio a partire dal lavoro che c’è dietro l’assunzione di responsabilità scaturisce anche l’abilità a individuare competenze e capacità nei propri collaboratori: questa fase è propedeutica al processo di delega.
Anche perché, per fare qualcosa di buono, difficilmente si potrà farlo da soli. Quindi è fondamentale saper affidare parti del lavoro ad altri.
Il saper delegare va a braccetto sia con la consapevolezza che non si dovrebbe mai chiedere ad altri ciò che il/la leader non farebbe mai in persona; che con l’accettazione della responsabilità dell’operato dei propri delegati.
Gli spunti di Centodieci sono mutuati dalle idee espresse in una slideshare di Judith A. Culp, che va ad ampliare la gamma di consigli, e ci riporta ai sempre validissimi spunti elaborati da Pozin, e di cui abbiamo accennato in apertura.
Culp aggiunge che essere leader significa anche capire e individuare i propri limiti: non è detto che si debba essere tutti comunicatori nati. Tuttavia, la comunicazione è fondamentale, in tutte le sue forme, ed è vitale, ai fini dei progetti, riuscire a trasmettere la propria visione al proprio team. Specialmente se vogliamo trasmettere un atteggiamento positivo, propositivo e possibilista: difficilmente una predisposizione pessimista otterrà risultati. Anzi, al contrario, rischia di affossare umori e produttività.
Francamente non riusciamo a trovare nulla di più motivazionale per un team che essere stimolati e delegati a svolgere il proprio lavoro in autonomia e fiducia. Tanto più se poi i leader ascoltano i propri team-member e valutano le loro idee.
Culp conclude con un consiglio, che poi ci riporta a quello sulla capacità decisionale: agire. Fare le scelte che vanno fatte, ma farle seguire anche da azioni concrete, visibili, valutabili e valevoli.
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