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Tra i vari motivatori americani che proliferano in quest’epoca, uno ci fa particolarmente sorridere per il suo atteggiamento provocatorio di incitare al miglioramento. Si chiama Larry Winget e si autodefinisce il “Pitbull della Crescita personale”. Americano, promotore del mito del Self Made Man si presenta, senza bisogno di ulteriori parole, fin dalla sua immagine: camicia texana, posa da conquistatore, dito puntato dello Zio Sam. Molto americano, dicevamo.
Il suo punto di vista, crudo e diretto, e anche molto colorito, come quello di un vero cowboy, parte dal presupposto che non esiste il destino. Esiste invece come ci poniamo davanti a quello che succede nella vita. È tutta questione di predisposizione e volontà.
Non per nulla, il brano che ci ha fatto riflettere oggi, è tratto dal libro: “Il Fattore idiota. Riconosci ed elimina le 10 cose stupide che stai facendo per rovinarti la vita”.
Molte persone credono che i loro risultati non siano altro che il frutto del “destino”. Pensano: “Queste sono le carte che mi sono state date e devo giocarle.” No, non sei obbligato a giocarle.
Il bello nella vita è che puoi sempre rifiutarti di giocare con le carte che ti hanno servito e chiedere una nuova distribuzione. E la buona notizia è che il mazziere sei tu. Puoi darti una nuova mano di carte.
Sento fare spesso l’assurda affermazione seguente: “È così che deve essere.”
La gente lo dice quando vuole una scusa per come stanno le cose. Sostengo che si tratti invece di un mucchio di cavolate[1]. Che ne dici di qualcosa di più preciso come: “È così che permetto che sia.”
Oppure: “È così che deve essere perché sono disposto ad accettarlo.”
O ancora: “È così che deve essere perché è quello che mi aspetto.”
Oppure: “È così che deve essere perché sono troppo pigro per fare in modo che le cose siano diverse da come sono.”
Non ho mai condiviso il modo di vedere secondo cui “è così che deve essere”.
Invece, la mia vita si è sempre basata sul motto “sono io a creare la mia realtà”.
Lo stesso vale per “Que sera sera”, quella canzone idiota tanto in voga quando ero giovane e che diceva: “Sarà quel che sarà, il futuro non è mio e non posso prevederlo, que sera sera.”
Il futuro è tuo. Il futuro è anche una tua creazione. Devi solo avere voglia di realizzarlo.
Com’è la visione della tua vita?
Non lo sai con chiarezza?
Lascia che ti aiuti a rispondere: la stai vivendo. Guardati attorno e renditi conto che stai vivendo la visione che avevi della tua vita. La tua casa rappresenta la tua visione. La tua relazione la rappresenta e anche i soldi nel portafoglio. Torniamo al punto di partenza: la tua vita è come vuoi che sia, altrimenti sarebbe diversa. La tua vita è anche come te la se immaginata; altrimenti sarebbe diversa.
Non ti piace la tua esistenza? Pensa a una nuova visione.
A prescindere dal sorriso che ci strappa il suo stile, che per noi italiani, intrisi di Vecchia Europa, può anche sembrare folkloristico, il suo messaggio contiene delle verità incontrovertibili, specialmente perché di buon senso.
Accettare passivamente gli accadimenti della vita ci allontana dai nostri obiettivi, e ci mette in condizione di avere degli alibi ai nostri fallimenti.
Lo abbiamo visto succedere diverse volte, anche in contesti aziendali. Imprese messe in crisi da scelte – o non scelte – sbagliate. Quando magari sarebbe stato intelligente, ed efficace, fermarsi un attimo a riflettere e capire come agire.
Questo è il vero significato de “Il futuro è tuo”.
Guardarsi attorno e agire. E con agire intendiamo anche saper chiedere aiuto. Perché è fondamentale anche riconoscere i propri limiti, tra i quali c’è anche la possibilità di non avere una visione oggettiva dall’interno.
Una delle frasi iconiche di Winget, sempre dallo stesso libro, è infatti dedicata al successo: “Il successo deriva dalla rinuncia a parte di ciò che hai. Il problema è che ti sei riempito la vita di cose che ti impediscono di sperimentare il successo. Devi liberartene. Il successo è un processo di eliminazione. Devi liberarti degli atteggiamenti inconcludenti e lasciare spazio a quelli vincenti.”
E crediamo che una delle cose da lasciarsi alle spalle, quando si vuole lavorare per il bene della propria impresa, è la sindrome di onnipotenza, un orgoglio autoreferenziale che porta a non condividere e confrontarsi con l’ambiente circostante.
Ovviamente ogni azienda, ogni persona, ha una sua realtà. Non ci sono ricette universali. La cosa migliore da fare è approfondire la conoscenza di ogni situazione e trovare il consiglio giusto, le soluzioni giuste e le persone giuste.
Per questo ci piace leggere i motivatori, di qualsiasi stampo e provenienza: perché ci danno spunti su come conoscere le nostre aziende, i nostri clienti, i nostri collaboratori e colleghi. Ci fanno riflettere e ci danno strumenti.. ma anche lo spirito critico su come e quando usarli, questi strumenti.
Perché il nostro metodo è l’ascolto, cui facciamo seguire un invito all’azione. Ed è così che abbiamo progettato i nostri servizi di business coaching.
[1] Abbiamo cambiato la traduzione in un gergo meno colorito
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